La città si consuma. È lontana. È vicina. Fabbriche, uffici, officine, cantieri, macchine, il corpo macchina, i corpi ciclopici, quelli essenziali, i corpi che sono solo dei cubi, una somma di nodi, di nodo in nodo -la città è continuamente generata e continuamente inghiottita dall’umore, dalla palta di un nodo gigantesco. Gli intagli, il giallo che permane la Limmat che ripete il suo rumore, il principio, il flusso produttivo, la luminosa etichetta Sprùngli che vigila sulla Bahnhof strasse, manifesti, transenne, dormitori, palazzoni aurei, nuovi materiali, linguaggi artificiali. Dicono la loro delusione, le rose. Non si aspettavano che una città nascondesse così tanti tesori. Così alto il pino, così larga la Terra, così piccolo il diamante… In questa città io curavo un giardino di conchiglie. I miei negozi correvano lungo tutta la Limmat. Il mio giardino era un giardino artificiale e al suo centro vi era un grande acquario… Ma come fare a orientarsi in una mappa del nulla ? Esiste una mappa del mare con nemmeno un frammento di terra?
Nevicava straordinariamente. Sally correva per ogni finestra. Sulla Limmat per tutta la notte avevo provato il mio arco. Bucherer ora sognava di imprigionare la luce… e’ caotico il narrar per brani. Una volta raccontavo dell’inizio delle cose, del profumo artificiale. Oggi il dissesto, la fine. E’ come con le parole… Lavoro in una vecchia latrina stile imperiale. Giunge fino a me il brusio dei mille media che nascono ogni giorno. Che il giorno friggono e nel giorno sbuffano. Il mondo gonfia fuori da questa latrina, come se s’alimentasse in ogni istante. La gran parte di questa gente non ce la fa a risalire. Io li guardo, corrotti, senza più parole, li guardo a volte senza vederli, a volte vorrei veramente esplodere… Di una nave alla fine vedrò: le sue reali, immense strutture e poi, su di una parete di sala, le sue indicibili variazioni.