La mia olivettina cosa si deve inventare, tutti quei cenci addosso, quanti ottobripersi lamentavano i fabbricanti di carta, la città come una nave, e il guardone che radunando le sue rane dice: saranno immense bande d’iterazione e sul mio corpo il mio racconto: salirà, si condenserà, forse si perderà nel cielo, cosa diavolo si deve inventare… Guisnes febbrile e putrida nelle caserme, vaga nelle sue metropolitane, lussuriosa, pupiescanei sottoscala, nei giardini pubblici, in case abbandonate, sotto i ponti, nelle scuole, nei cinema, nei cessi dove il guardone gode della stessa accanita soverchia leggiadrìa dell’uomo spray.
Ho fatto gli anni su questo muro, in questa grigia bacheca. Ho sempre fatto gli anni su questo muro, era un muro grigio. Avevo un amico che aveva un berretto da marinaio: non erano putride un tempo le navi di passaggio, buona alberatura, un profilo sicuro, mille luci a sera.
Non mi accorgevo di niente, ogni cosa accadeva quasi sena di me: l’eccesso dei manifesti, gli occhi forati, il varco tra i denti, e poi metropolitane, ascensori,caserme, ippodromi, scuole, palizzate, cortili, spogliatoi, cantine…Milionindi parole e milioni di piupi cretini e milioni di lattine di birra e qualche coccio per la libera uscita. Continua continua. Sono nel giro delle nozze, dice, tutte le sere col mio dito faccio fremere la terra.
Il narratore sa e corre le mille vie e i mille quadri che sul fondo del palco si susseguono. Sa della sua fine, dei suoi giorni sempre flebili e vuoti, sa le immense natiche, sa gli sguardi atterriti, avidi, sa che spesso putrida e sola la nave s’allontana, sa che vivere è vivere della memoria di splendide traversate, e sa dei suoi tentacoli sottilissimi e della sua bocca immane, e sa che il colore del corpo è monotono e smorto……… Sa che l’abisso è la sua memoria ma anche la sua solitudine………..