Le corti
La Corte, non esclusiva del Salento, sorge come bisogno elementare ed umano di vita associativa, come concentramento di più unità abitative che si aggregano.
La lettura del nostro paesaggio rurale ci permette di comprendere le ragioni storiche che in età medioevale determinano esodi massicci dalle campagne e portano alla formazione dei tanti minuscoli agglomerati urbani che costellano i piccoli centri urbani del Salento con case a corte.
La casa a corte, alcune delle quali presidi della Biblioteca di Cortile, si configura a Capraricae in tutto il Salento, come tipo di abitazione caratterizzata dalla presenza di uno spazio scoperto, comune o privato, intorno a cui, si dispongono una o più unità abitative.
Tra le diverse corti merita attenzione la "corte chiusa", quella più frequente a Caprarica, con l'affaccio sulla strada con un portone d'ingresso ad arco munito di infisso a due battenti e si giova di un disegno elementare.
Un altro tipo di corte è quella cosiddetta “arcaica”, che consiste di un cortile rettangolare con accessori e servizi in comune (servizi igienici, forno, pozzo, pila per lavare, nel quale esistono stanze fornite sul retro di modesti ortali.
Nelle case a corte di Caprarica, il cortile rappresenta il fulcro organizzativo di tutte le funzioni domestiche: su di esso si snodano le abitazioni, le stalle, i magazzini, al centro un pozzo; di dietro l'immancabile orto. Un muro alto, bianco di calce, senza alcuna apertura all'infuori di una porta a due battenti, separa l'intimità del cortile della strada, perché il cortile è sacro all'intimità delle famiglie che vi si affacciano. I bambini ci giocano, le galline ci razzolano, le donne ci tessono o filano, gli anziani si incontrano, gli uomini si fermano, dopo una giornata faticosa nei campi.
Le Masserie
Testimonianza del retaggio contadino e del periodo coloniale caprarese sono le splendide antiche masserie, alcune delle quali ancora perfettamente ristrutturate e ritornate a risplendere di nuova luce. Tre sono oggi le aziende agricole operanti nelle masserie di Caprarica con funzioni di vendita diretta di prodotti agricoli, spaccio di carni, aziende agrituristiche e masseria didattiche.
Masseria Stali
Strada……..
Azienda agrituristica che offre vari servizi come un frantoio oleario, la masseria didattica, servizi di ristorazione e strutture per meeting, banqueting, corsi di formazione e corsi di cucina
Masseria Li Curti
Strada…….
Piccola masseria con sede della omonima società agricola, utilizza strumenti e metodi di lavoro moderni, ma rispettando le antiche tradizioni, producendo un ottimo olio extra vergine. L’allevamento di pecore e capre consente la produzione di un ottimo formaggio.
Masseria Chiusura di Sotto
Strada…….
Situata tra le campagne e gli ulivi di Caprarica di Lecce, dove sono allevati in libertà bovini ed altri capi di bestiame per la macellazione, alimentati con foraggi biologici prodotti dalla stessa Masseria. Essa è considerata uno dei più grandi allevamenti di carne a km 0 del Salento.
I frantoi ipogei
Fino alla metà del secolo scorso erano assai diffusi in Caprarica, come in tutti i Comuni del Salento, gli antichi "Frantoi ipogei" ("Trappiti ecchi"), spazi privi di aria e di luce e nei quali, alla debole fiamma di fumose lucerne ad olio, si muovevano, scalzi, i "trappitari"(frantoiani).
Scrive lo storico ARDITI che Caprarica di Lecce è "...quasi tutta coltivata ad ulivi; e le produzioni in generale sono l'olio..."; il DE GIORGI, a conferma del primo, aggiunge che: "...Vi sono in Caprarica 12 frantoi per olio..."; ed infine Bozzetti precisa che a Caprarica: "...La principale industria agricola è l'oleificazione; e l'uliveto di fatto circonda tutt'intorno il paese e si estende fin quasi al mare Adriatico...".
Il motivo per cui i trappiti sono sotterranei va spiegato col fatto che, d'inverno, in essi la temperatura era meno fredda che nei locali fuori terra e quindi la torchiatura delle olive riusciva meglio tecnicamente.
Le macchine olearie di questi antichi frantoi sono costituiti dalla macina e dai torchi. La prima ha una sola ruota ma di grandi dimensioni (sino ad 1,90 di diametro per 0,50 mt. di spessore) e fatta di pietra calcarea locale. Essendo essa priva di palette mescolatrici, un trappitaru doveva di continuo riportare la pasta sotto la macina.
I torchi sono attrezzati con l'asse di legno a vite. Per ogni frantoio-ipogeo vi era una macina grande per la prima pressione e con la piattaforma di oltre un metro e quattro piccole per la seconda pressione.
La stretta viene data per mezzo di un'asse mobile, detta in vernacolo "stanga", che s'infila negli appositi fori della testa della vite. Questa, poi, viene fatta girare direttamente dai frantoiani ma verso la fine della pressione, indirettamente, per mezzo di un argano. In altri casi la stanga viene fatta girare da due cavalli. Si usano, generalmente, fiscoli di giunco.
Alla base di ogni torchio era scavata una vaschetta circolare dove si raccoglie il liquido che cola dal torchio.
Le olive si conservano in locali detti camini annessi al frantoio, ammassate in strati, a volte, alti due o tre metri o più. In essi, spesso, il riempimento aveva luogo dall'alto e lo svuotamento dal basso per mezzo di apposite aperture.
Naturalmente così conservate, ed a volte per un mese e più, le olive davano, un olio pessimo che in gran parte veniva adibito per l'illuminazione, non solo in Italia ma anche all'estero, dove veniva esportato.
Si produceva, però, anche olio buono, sia pure in piccoli quantitativi, specie ad uso dei proprietari e dei ricchi. Allo scopo si destinano olive fresche, fatte cadere dall'albero con le mani o battute con una canna e subito raccolte, cernite, spesso lavate e si usano fiscoli nuovi o quasi.